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Finché c’è Prosecco c’è speranza

Il titolo, Finché c'è Prosecco c'è speranza può trarre in inganno: non è una commedia né un film comico benché si mantenga su toni abbastanza leggeri, ma un giallo, si diceva, ambientato nella campagna veneta. 

Appena un anno fa veniva distribuito questo piccolo film, opera dell’esordiente Antonio Padovan e tratto dall’omonimo romanzo della serie di gialli, con protagonista l’ispettore Stucky, scritti da Fulvio Ervas, qui anche co-sceneggiatore. Il titolo, Finché c’è Prosecco c’è speranza può trarre in inganno: non è una commedia né un film comico benché si mantenga su toni abbastanza leggeri, ma un giallo, si diceva, ambientato nella campagna veneta. 

Il conte Desiderio Ancillotto (interpretato dal grande attore croato Rade Šerbedžija), proprietario di una vigna e produttore di un rinomato Prosecco, si suicida nel cimitero del paese. Nel frattempo avvengono alcuni omicidi e il principale sospettato pare assurdamente essere proprio il conte: il suo intento sarebbe quello di vendicarsi dei proprietari dei cementifici della zona che avrebbero avvelenato la terra rovinando e contaminando la natura circostante. 

L’ispettore Stucky (il grandissimo Giuseppe Battiston, a suo agio con tutti i registri, presente sugli schermi cinematografici da quasi trent’anni, pluripremiato e qui in uno dei suoi esigui ruoli da protagonista assoluto) scoprirà il vero colpevole. 

Il messaggio ambientalista è evidente: in nome dei soldi si distrugge l’ambiente, e il film non a caso non ha ottenuto finanziamenti dalla Regione; ma il regista, in una recente intervista, non se ne è affatto lamentato, se non altro perché ha potuto godere della massima libertà creativa. 

Gli attori di contorno sono tutti di razza, da Roberto Citran (il superiore antipatico, che sul finale si rivelerà un bonaccione) a Babak Karimi (attore e montatore iraniano, è lo zio un po’ invadente), da Silvia d’Amico (la si ricorderà in Non essere cattivo e se ne risentirà parlare senz’altro) a Teco Celio (lo scemo del villaggio, bravissimo). 

Si tratta di una dignitosa detective story all’italiana, vecchia maniera, che offre varie occasioni al regista di mostrare gli splendidi scorci paesaggistici della zona e dove il lato umano dei protagonisti e l’ambientazione contano più dell’intreccio – alla George Simenon per intenderci. Girata con una piccola troupe e con pochi mezzi, non è certo un capolavoro, ma nel suo essere così dichiaratamente un giallo classico, non pretenzioso, senza messaggi da comunicare (a parte, come detto, quello ambientalista, ma comunque non calcando troppo la mano in tal senso), e senza particolari ambizioni autoriali, è davvero piacevole e adatto a una visione rilassante e scacciapensieri.