Baccalà o Stoccafisso?
Con la loro polpa bianca e gusto delicato, oggi baccalà e stoccafisso hanno preso posto nei menù di molti ristoranti stellati. “Adatto alla gente rozza dagli stomaci forti", così i nobili definivano il baccalà, disdegnandolo e
Con la loro polpa bianca e gusto delicato, oggi baccalà e stoccafisso hanno preso posto nei menù di molti ristoranti stellati.
“Adatto alla gente rozza dagli stomaci forti”, così i nobili definivano il baccalà, disdegnandolo e consumando solo rigorosamente pesce fresco.
Roba da poveri, insomma, raccomandato dalla Chiesa per “i giorni di magro”, cioè le vigilie delle festività. Così bianco come era, induceva una retta condotta, lungi dall’apparire come quelle carni rosse, lussuriose e grasse che sicuramente portavano al peccato. Si diffonde rapidamente anche perché pesce facilmente conservabile, come le acciughe in barile o le aringhe che però non erano sufficienti a sfamare un’intera popolazione. Nel suo lungo viaggio, già dal XV secolo attraverso la Norvegia, è diventato una pietra miliare di tutte le cucine regionali.
Esiste una versione di baccalà, il merluzzo salato, o di stoccafisso, solo essiccato, quasi in ogni città d’Italia: alla vicentina e alla veneziana, i più datati e quelli che scoprirono “l’uso del latte per ammorbidirlo”; alla messinese e alla napoletana, dove ovviamente compare il pomodoro insieme ai capperi e alle olive; alla genovese o ligure, dove non possono mancare le taggiasche; alla bolognese, la variante bianca con aglio, prezzemolo e succo di limone; alla fiorentina, infarinato con l’aggiunta poi del pomodoro; alla romana con cipolla e patate; all’anconetana, con olive nere, capperi, acciughe, aromatiche.
L’Artusi a fine Ottocento riporta ben sette ricette, segno che la diffusione era diventata capillare e suggerisce diversi tipi di cottura: in gratella, fritto come cotoletta, montebianco, alias mantecato con panna e latte, o dolce-forte, un agrodolce con “aceto, zucchero e uva passolina”. E con uvetta o prugne secche si mangiava un tempo anche a Perugia nelle trattorie della città.
Oggi, nel pieno della storia contemporanea della cucina, baccalà e stoccafisso hanno ripreso posto nei menù dei ristoranti stellati e vengono venduti anche già ammollati e pronti all’uso. Perché mangiare “di magro” è tornato di moda, abbiamo scoperto che fa bene.
Il migliore merluzzo artico? È lo skrei, il pesce che “ha costruito la Norvegia”. Ogni inverno centinaia di pescherecci si radunano sul ventoso Vestfjord, solitamente con uno stormo di gabbiani affamati al seguito. Aspettano lo skrei che arriva migrando dal Mare di Barents per riprodursi.
Il viaggio gli regala una polpa bianca, di gusto delicato, che si sfalda amorosamente se la tocchi con la forchetta.
E si utilizza tutto, non solo il prelibato filetto: la lingua fritta e croccante è uno dei piatti preferiti dalla gente del posto; le uova vengono trattate come quelle del caviale; l’olio di fegato dalla salvifica sostanza; il latte di merluzzo (un altro modo per dire sperma) viene venduto ai ristoranti sushi in Asia, mentre le teste essiccate vengono richieste dalla Nigeria, ingrediente fondamentale per il loro piatto nazionale. Resta appeso lì, lo Skrei, su graticci turriti, da febbraio a maggio. Appeso lì, lungo la costa vicino al mare, esposto a tutti gli elementi: vento salino e sole perfetti per l’essiccazione. Centinaia i pescherecci, così strettamente allineati l’uno vicino all’altro, un tempo forzati giacigli dove passare la notte, almeno fino alla costruzione, nel XII secolo, delle rorbu, strane casette dove poter riposare.
Nella ricetta, forse la più famosa, del “Baccalà alla Vicentina”, non si usava (e ancora oggi non si usa) affatto il baccalà, ma solo lo stoccafisso da “ingentilire” nel latte. Come abbiamo visto nell’articolo precedente lo portò a Venezia il commerciante veneziano Piero Querini, naufragato, come riporta nel diario di bordo “in culo mundi”. Tornò dall’arcipelago delle Lofoten, oltre che con un bagaglio di conoscenza di usi e costumi, con il prelibato “pescestocco”, che verrà introdotto nelle mense italiane.