Sgombro, i colori della bontà
Lo sgombro, un pesce nobile decaduto sì, ma pur sempre elegante e azzimato. Lo sgombro? Un pesce buono come esca. È stato grave il pregiudizio che è pesato a lungo sul pesce azzurro, e su questo
Lo sgombro, un pesce nobile decaduto sì, ma pur sempre elegante e azzimato.
Lo sgombro? Un pesce buono come esca. È stato grave il pregiudizio che è pesato a lungo sul pesce azzurro, e su questo in particolare, a dispetto della magnifica livrea tigrata, cangiante dal blu acciaio al verde cupo, passando per l’argento sul corpo affusolato. Eppure, le premesse erano altre: basta aprire Mon Dictionnaire de Cuisine di Alexandre Dumas per scoprire di quale reputazione godesse fra i gastronomi alla fine del XIX secolo.
Uno dei pesci più belli e coraggiosi che esistano. Quando ancora vivo passa dalla lenza alla barca, sembra fatto di azzurro, argento e oro, scrive affascinato il romanziere, per poi proporre una sontuosa ricetta “à la maître d’hôtel”, che oggi suonerebbe provocatoriamente interclassista.
Già sua maestà Auguste Escoffier, del resto, lo figurava lesso con purea di uva spina, fra le altre declinazioni; mentre il Larousse snocciola anch’esso preparazioni preziose, al sidro o ai lamponi, visto che la frutta è da sempre una compagna affiatata. La qualità della materia prima è in questo caso più che mai decisiva, anche perché si tratta di una specie “di passo”, come dicono gli esperti; quindi, in realtà non sarebbe sempre reperibile (per quanto sul bancone del supermercato non manchi mai…). Poi c’è la stagionalità in termini di colore e succulenza delle carni, nel senso che in certi periodi i pesci risultano più scuri e asciutti, in altri più morbidi e chiari. In generale il periodo migliore va da novembre a marzo per i gourmet più esigenti. La misura dipende dalla profondità, quindi dal mare, ma si pescano ovunque. E la polpa è fra le più sfidanti da cuocere, per la facilità con cui diventa stopposa; con l’altro banco di prova della salvaguardia di colori e brillantezza.
In Italia ha fatto tanto Moreno Cedroni, precursore del suo riscatto.
Verso lo sgombro sento un grande rispetto da tantissimi anni, fin dall’apertura del Clandestino nel 2000, con la pizzetta guarnita di sgombro, burrata e pendolini, che fu un grande successo. Il segreto fu quello di rintuzzare la parte metallica del pesce azzurro. Poi è arrivato il piatto dedicato a Murakami, dove invece viene marinato col miso. Per me è un grande pesce, anche nelle versioni in scatola è delizioso e sicuramente dovrebbe essere più valorizzato.
Ma io ricordo anche un ottimo sgombro all’aggiadda, ovvero in carpione, una ventina di anni fa da Luca Collami, che interpretava magistralmente la ricetta agrodolce tabarchina. Un altro pioniere è stato Ernesto Iaccarino:
Lo sgombro fino a 20 o 30 anni fa era considerato un pesce poverissimo, per cui era venduto a prezzi stracciati. Ma fa parte di quel grande patrimonio del Mediterraneo che è il pesce azzurro. Siamo stati fra i primi a valorizzarlo e oggi con orgoglio constato che anche a Tokyo nei grandi ristoranti di sushi è una delle varietà più apprezzate. Quindi l’intuizione di aver badato più al gusto che al prezzo, ci riempie di orgoglio.
Il primo piatto sono state le treccine di sgombro con verdure in carpione leggero, ma sono seguiti anche diversi primi. Oggi questo nobile decaduto vive un clamoroso revival: giocano a suo favore la sostenibilità ambientale ed economica (si tratta di un pesce abbondante e a buon mercato, sempre selvaggio) e le considerazioni nutrizionali, nello specifico l’abbondanza di grassi buoni. Come abbiamo visto in questo numero, lo sgombro ha ispirato una ricetta memorabile ad Andrea Impero, Un povero ricco, che incarna il suo peculiare concetto di cucina wellness, in un magnifico resort dotato di Spa:
Tutto è nato a una convention sul benessere che si è tenuta a Foligno, con la partecipazione del rettore di Scienze dell’Alimentazione di Perugia. Le collaborazioni che si sono instaurate mi hanno motivato a dimostrare il beneficio che si ricava da determinati alimenti. Perché tutti noi siamo ciò che mangiamo. Nello specifico ho voluto estrapolare gli acidi grassi omega 3 e omega 6 dalle pance e dalle code di sgombro, sottoposte a leggero trattamento termico e poi spremute tipo presse, con successiva decantazione nelle ampolle. Un olio che condisce col contagocce il filetto scottato semicrudo, più il paté delle interiora cucinato alla maniera dei classici fegatini e il brodo delle lische chiarificato all’aceto invecchiato in barrique per lo scarto zero, un piattino di conserva sott’olio con acetosella di bosco e fiori dolci di mandorlo sul lato.
Nobile decaduto sì, ma pur sempre elegante e azzimato.