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Il bello del brutto

Come i canoni sono cambiati e percepiti nel corso dei secoli

A partire dall’antica Grecia, filosofi, letterati e artisti hanno provato a definire cosa sia la bellezza, quali siano i suoi canoni e in che modo essi debbano essere rappresentati dall’uomo. Questa, nel corso dei secoli, è stata riempita di significati e valori differenti in base ai contesti storici, sociali e culturali. Nell’età moderna si è iniziato a parlare di estetica del brutto, la quale, inizialmente considerata il contrario dell’estetica tradizionale, è diventata portatrice di valori nuovi. A partire dalla seconda metà del Settecento, il brutto non viene più considerato come mero disvalore, ma diviene un vero e proprio valore artistico, completamente autonomo dal concetto di bellezza. La volontà di esaltare ciò che è brutto sembra essere nata nell’arte già dalla fine del XVII secolo, quando si inizia a intuire che anche ciò che è sgradevole può procurare piacere estetico. Questo perché si inizia a percepire che, davanti alla rappresentazione di un soggetto brutto e disarmonico, lo spettatore prova delle emozioni. La bruttezza è capace di rimandare a qualcosa di più profondo, lontano da quella definizione di bellezza ormai resa superficiale e troppo rigorosa. Il brutto è capace di provocare e di indurre nell’osservatore una reazione critica nei confronti dell’immagine che sta osservando.

Tra il Settecento e l’Ottocento l’arte viene svincolata da qualsiasi fine, riscoprendosi autonoma. In questo periodo essa non è più vista come espressione della ragione e gli artisti iniziano a sostenerne la libertà creativa, contro il condizionamento delle regole classiche. Ma se nel XIX secolo erano state poste le premesse della negazione dell’estetica del bello, nel Novecento la conclusione tratta da artisti e teorici è che il concetto di bello è talmente impreciso che non è possibile formularne una teoria. Il bello non è una qualità così pregevole come si era ritenuto per secoli. Se un’immagine scuote, colpisce profondamente il fruitore, ciò diviene più importante dell’incantarlo con la sua bellezza. La commozione non si ottiene soltanto con la bellezza, ma anche tramite la bruttezza. Guillaume Apollinaire scrisse: «Oggi amiamo la bruttezza tanto quanto la bellezza». Durante l’epoca moderna il fine, quindi, non è più quello di rappresentare attraverso le immagini il bello, ma di saper trasmettere attraverso di esse emozioni in chi osserva. Noi vediamo secondo l’educazione che abbiamo ricevuto. Siamo abituati a vedere quello che il mondo che ci circonda contiene. La sfida è quella di imparare a vedere senza preconcetti.

 

In foto: Nature morte, 2021. Foto di Federico Minelli

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Esperto in Immagine e Comunicazione