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Il disgusto per un cibo, da dove deriva?

Tra le prime cause c'è l'istinto di protezione dell'organismo

Nel saggio di C. Darwin L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, l’espressione delle emozioni viene considerata innata e universale.
Tra queste troviamo anche il disgusto, la cui mimica facciale mira a respingere all’esterno gli oggetti e gli odori offensivi: naso increspato, narici ostruite, labbra strette, lingua spinta in avanti a proteggere il corpo dall’intrusione di elementi indesiderabili. Alcune sostanze si considerano disgustose in sé, altre lo diventano solo se si pensa di mangiarle, considerate repellenti a livello simbolico o espressione di una neofobia per ciò che non si considera cibo o per combinazioni azzardate tra ingredienti singolarmente accettabili. Secondo lo psicologo americano P. Rozin, in origine la funzione del disgusto era di protezione dell’organismo dagli alimenti nocivi, ma nel corso del tempo si è evoluta fino a diventare un meccanismo di protezione della psiche. Egli ha osservato che non sempre le situazioni di disgusto riguardano il cibo e ipotizza che il disgusto nasca da un istinto di protezione della nostra carnalità, inclusa l’ineluttabilità della morte.
Nel 1929, il filosofo ungherese A. Kolnai nel suo saggio sul disgusto pose l’accento sul fatto che sia provocato tipicamente da «una combinazione particolare tra la vita e la morte». Paul Rozin si è occupato in particolare del consumo di carne, in tutte le culture il cibo più apprezzato e quello maggiormente esposto a tabu. Il suo consumo suscita un sentimento ambivalente, probabilmente dovuto alla credenza diffusa che si assimilino le proprietà di ciò che si mangia: l’uomo, in ogni cultura, cerca di stabilire una distinzione radicale fra sé e gli animali. Rinominare i tagli di carne e presentarla in modo più o meno elaborato serve a porre una distanza tra quel che mangiamo e la sua origine, allontanando dalla nostra mente l’idea dell’animale che stiamo mangiando e della sua morte. Gli animali carnivori si nutrono di carne cruda, spesso in decomposizione, e producono escrementi putridi che li rendono disgustosi ai due estremi del ciclo alimentare; è per questo che consumiamo di preferenza erbivori.
Altre due categorie di tabu alimentari riguardano gli animali troppo vicini agli esseri umani per il loro aspetto, come le scimmie, o per la relazione troppo ravvicinata (gli animali domestici, come il gatto o il cane); dall’altro lato quelli troppo remoti, che possono provocare un misto di paura e disgusto, come i ragni o i serpenti.

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Psicologa, Psicoterapeuta, Presidente dell'Associazione Scientifico-Culturale Professione Psicologo