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Al purazi, vongole fujute, paparazze

Le vongole da nord a sud

In Romagna al puràzi (le vongole) erano il cibo dei poveri: puràz chi li ciàpa, puràz chi li vend, cita un adagio, dove puràz significa proprio poveraccio. In ogni caso, al puràzi portavano e portano nel piatto il sapore del mare come poche altre cose. E soprattutto abbondavano, in quelle zone.
«La vita è una combinazione di magia e pasta» diceva Federico Fellini e forse al primo posto metteva gli spaghetti alle vongole, uno dei suoi piatti preferiti. Fellini, un regista goloso e amante della sua terra, quella Rimini che definì «un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare» e dove, sul lato sinistro di piazza Cavour, sorge ancora oggi la vecchia Pescheria, con i suoi archi e i lunghi banchi in pietra d’Istria dove un tempo si vendevano le vongole, le poveracce, come le chiamano i riminesi.
E da nord a sud, gli spaghetti alle vongole sono il piatto protagonista a Napoli e tanto atteso dopo gli antipasti, durante il cenone della vigilia di Natale e di fine anno. E come non citare gli spaghetti alle vongole fujute, massimo esempio dell’ironia e della fantasia del popolo napoletano, che un aneddoto lega a Eduardo De Filippo. Di vongole che se ne so fujute cioè scappate, non se ne vede traccia e la loro assenza è compensata dall’abbondante presenza del prezzemolo. Si racconta che nel 1947, al termine di una rappresentazione teatrale, Eduardo era così stanco da non recarsi, come al solito, con Peppino e Titina in trattoria per cenare. Si incamminò verso casa e forse per la camminata, forse per la fatica della rappresentazione, vi giunse veramente affamato. In cucina trovò solo degli spaghetti, qualche pomodorino e alcuni mazzetti di prezzemolo. Così con quei pochi ingredienti preparò un piatto che è rimasto nella storia della cucina napoletana: spaghetti alle vongole fujute. Il prezzemolo, con il suo aroma molto forte, regala l’illusione di sentire il sapore delle vongole che, in realtà, non ci sono. Il mattino seguente Eduardo raccontò alla sorella Titina la sua ricetta e da lì, con uno straordinario passaparola, essa divenne patrimonio dell’intera città. Del resto, la pasta non manca mai sulle tavole napoletane, ma ciò che i campani preferiscono sono sicuramente gli spaghetti, così diffusi dai tempi dei tempi nei vicoli di Napoli dove si mangiavano con le mani.
E il centro Italia? In dialetto abruzzese le vongole si chiamano paparazze, che aprono e chiudono le valve proprio come fa l’obbiettivo della macchina fotografica, da cui forse il nome paparazzo a indicare il famoso fotografo della dolce vita felliniana.

Antropologa, Scrittrice, Giornalista, Critico Enogastronomico, Blogger