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Capriolo… oppure no?!

Tra letteratura, cartoon e storia

Nella percezione condivisa (oggi come nel passato) il capriolo viene confuso o associato con cerbiatti o altri cervidi, forse perché esso ne condivide le piccole praterie e il sottobosco oltre che, certamente, il comune carattere schivo e riservato.
Tornando alle origini della nostra cultura, il capriolo − sebbene non s’incontri nella Palestina dei nostri giorni − viene citato da alcune versioni del Deuteronomio nel numero degli animali di cui era permesso consumare la carne (cf. Deut 14,4-5 «Questi sono gli animali che potrete mangiare: il bue, la pecora e la capra; il cervo, la gazzella, il capriolo, lo stambecco, l’antilope, il bufalo e il camoscio»), ma probabilmente doveva trattarsi di un errore di specie. Pure nel Salmo 42, detto anche Lamento del levita esiliato, si parla della cerva che anela ai corsi d’acqua così come la nostra anima anela a Dio, ma l’iconografia sacra si riferisce il più delle volte a una cerva senza coda a mo’ di capriolo…
Sembrerebbe crearsi una sorta di confusione di razze tra i due cervidi, che continua a perpetuarsi anche nella cinematografia dei nostri giorni. L’esempio più lampante? Bambi, il capriolo nato dalla fantasia dello scrittore austriaco Felix Salten. Il libro di successo da lui scritto nel 1923, aveva il titolo eloquente di Bambi, la vita di un capriolo, almeno nell’edizione italiana. Poi, si dice per questioni legate al diritto di autore, nel cartone animato della Walt Disney Bambi si trasforma, come d’incanto, in un cerbiatto dall’aria simpatica! Altri, invece, sostengono che per il lungometraggio la Disney si prese la libertà di cambiare Bambi in un cervo dalla coda bianca semplicemente per il fatto che i caprioli non appartengono alla fauna autoctona degli Stati Uniti d’America e quindi un cerbiatto dalla coda bianca sarebbe stato più familiare per il pubblico locale.
Tornando nel nostro continente, nel breve poema mitologico medievale gallese Cad Goddeu – traducibile come La battaglia degli alberi e inserito ne Il Libro di Taliesin del XIV secolo, che è uno dei più famosi manoscritti gallesi del periodo, ora conservato nella Biblioteca Nazionale del Galles ad Aberystwyth – un raro capriolo bianco viene sottratto durante una battuta di caccia alla divinità celtica Arawn (legata in origine all’arte venatoria e al ciclo delle stagioni) signore di Annwvyn, cioè l’oltretomba della mitologia gallese. Da questa tradizione ci è pervenuto il simbolismo del viaggio dell’anima verso la morte, rappresentato dal capriolo.
Tutto ciò si lega alla mitologia celtica, dove i cervidi (quindi anche i caprioli, oltre alle renne, ecc…) erano considerati gli intermediari fra il mondo degli uomini e quello degli dei. Di certo, questa loro particolare funzione li rese accompagnatori delle anime dei defunti verso l’altro mondo. Il cervo, soprattutto, in questo ruolo è associato a Samhain, un’antica festa celtico-pagana, celebrata tra il 31 ottobre e il 1 novembre (Halloween), conosciuta anche come capodanno celtico e come momento in cui le porte dell’aldilà si aprono per lasciar passare in questo mondo gli esseri fatati del Sidhe – «parola gaelica che indica il popolo fatato, chiamato anche piccolo popolo, composto da folletti, fate, elfi, gnomi, ecc. La traduzione letterale è: popolo delle colline».
Riflesso antropologico curioso: anche tra le genti della steppa asiatica il capriolo viene designato nella funzione di guida delle anime dei defunti. I costumi degli sciamani erano sovente realizzati con la pelliccia del capriolo e taluni, durante le cerimonie, portavano sulla testa o sulle spalle delle imitazioni in ferro di corna di capriolo o di cervo.