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Valorizzare i frutti della caccia

La selvaggina, metodi e consigli per assaporarla al meglio

Se è vero che negli ultimi tempi in Italia il consumo di carne di selvaggina è aumentato, siamo ancora lontani dal raggiungere quella diffusione che in Europa è assai affermata. A Bruxelles (esempio non casuale, dato che è la sede della Commissione Europea) in qualsiasi supermercato è possibile acquistare gibier de chasse, che sia di cervo, cinghiale o capriolo.
Riuscire a incrementare il consumo di carne di animali cacciati rappresenta di certo un obiettivo auspicabile e neanche troppo impegnativo da raggiungere. Già oggi, infatti, gli ungulati abbattuti sono quasi tutti monitorati dal punto di vista sanitario, e quindi introdurre una corretta filiera che, partendo dal trattamento della spoglia fino ad arrivare al banco dei surgelati, consenta al consumatore di acquistare un prodotto sano, buono, e magari a km zero dovrebbe essere abbastanza semplice.
Non tutti sanno che le carni di selvaggina vissuta allo stato naturale – cibandosi solo di ciò che le offre l’ambiente ove vive e potendo scegliere in base a ciò che il suo infallibile istinto le suggerisce – hanno caratteristiche eccellenti che vanno al di là di quelle organolettiche: scarsa presenza di colesterolo, basso contenuto di grasso, elevato contenuto di proteine, presenza di elementi importanti (ferro, zinco, selenio), di vitamina B12, rilevante contenuto di omega 3 (acido linoleico, acido αlinoleico, acido eicosapentaenoico).
Per andare in questa direzione è essenziale utilizzare quella metodologia di caccia che ormai da molti anni, prima in zona Alpi, poi lentamente ma inarrestabilmente in tutto il nostro Paese, si è affermata: si tratta della caccia di selezione agli ungulati. Essa risponde ad alcuni precisi requisiti: deve essere eticamente corretta; condotta su basi scientifiche, in maniera da prelevare, con gli abbattimenti, solo gli interessi, risparmiando il capitale; prevedere il coinvolgimento di tutte le Istituzioni che si occupano della salvaguardia del nostro ambiente; valorizzare al massimo i frutti della caccia.
La valorizzazione delle carni, che senza dubbio interessa maggiormente i lettori di queste righe, è legata necessariamente alla correttezza del cacciatore: questi potrà dirsi eticamente corretto se, dopo aver sacrificato alla sua passione un animale, sentirà poi come preciso dovere di avere il massimo rispetto della spoglia, come rimedio al sacrificio.
Quindi, una volta abbattuto il selvatico, dovrà provvedere alla sua eviscerazione (prima possibile, specie nella stagione calda), poi a una corretta frollatura in cella (rigorosamente tra i 2 e i 4 gradi centigradi: sotto i 2 gradi si avrebbe il congelamento, sopra i 4 la putrefazione) e, infine, a un degno consumo alimentare (o alla surgelazione).
Osservando scrupolosamente queste fasi è possibile mettere in tavola carni di altissime qualità sia organolettiche sia salutari, e il sacrificio dell’animale non sarà stato vano. Tutto ciò avendo contribuito a una corretta gestione faunistica.

Presidente di URCA Umbria - Gestione Fauna e Ambiente