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Rum dalle mille sorprese

Dalle spoglie dell'ammiraglio Nelson a Federico Barbarossa, fino all'indipendenza americana

Era il 21 ottobre 1805 quando la Royal Navy affrontava la flotta combinata franco-spagnola nelle acque dell’Atlantico, al largo della costa sud-occidentale della Spagna, appena a ovest di Capo Trafalgar, vicino a Los Caños de Meca (Cadice). Colpito da un tiratore scelto francese, moriva in combattimento l’ammiraglio Horatio Nelson mentre guidava i suoi uomini dal ponte della nave ammiraglia Victory. Passato a miglior vita il comandante – e vinta la battaglia – per gli inglesi ci fu il problema di trasportarne le spoglie in patria affinché ricevessero degna sepoltura. Lo stesso Nelson aveva chiesto esplicitamente – una volta defunto – di non essere gettato fuori bordo, sorte riservata alla maggioranza dei marinai e ufficiali che morivano in mare. Da quasi due secoli, sulle navi di Sua Maestà il rum veniva distribuito ai marinai quotidianamente – seppur diluito con succo di limone per prevenire lo scorbuto – e la Victory non faceva eccezione. Il rum fu d’aiuto per il trasporto del corpo di Nelson: i suoi ufficiali ricorsero a una tecnica praticata da secoli, cioè lo svestirono, lo rasarono e infine lo immersero in un barile di rum. L’alcol avrebbe mantenuto intatto il corpo di Nelson fino all’attracco a Portsmouth, in Inghilterra, città che sarebbe stata raggiunta sei settimane dopo. Perché parliamo di prassi? Salme di persone notabili, soprattutto defunte in battaglia, venivano riportate in patria immergendole in prodotti alcolici, salamoie e quant’altro le preservasse dalla naturale decomposizione. Un fatto analogo era accaduto la domenica del 10 giugno del 1190, al tempo della Terza Crociata, mentre Federico Barbarossa si trovava nella Turchia asiatica col suo esercito, diretto alle mura di Gerusalemme occupata dai musulmani. Non volendo seppellire il corpo del defunto imperatore in una contrada sconosciuta, i suoi uomini cercarono un modo per conservarne il corpo almeno fino alla città santa. Il caldo di quei giorni, però, fece fallire tutti i loro tentativi, compreso quello di conservarlo completamente immerso nell’aceto contenuto in un grosso barile. Invalsa pure la pratica della bollitura, che era usuale e consentiva di trasportare i morti lontani dalla patria. Alcune fonti riferiscono che le salme venivano bollite nel vino o in altri prodotti alcolici per eliminare il cattivo odore. Sempre da un punto di vista storico, va considerato che una delle grandi scoperte legate all’America è lo zucchero estratto dalla canna e da questa il salto verso il rum è davvero breve. Quando il pirata Drake inventa El Draque diabolico non sa di star creando l’antenato del Mojito che riempirà i bicchieri de La Bodeguita del Medio di Cuba dove andavano a bere Hemingway e Pablo Neruda.
Va riportata anche una affermazione forse poco comune e difficile da credersi, attribuita a John Adams (secondo presidente degli U.S.A.), che pressappoco riporta che uno degli ingredienti dell’indipendenza americana è stato il rum (e la melassa). Alla prova dei fatti, tuttavia, il rum fu una delle scintille che accesero gli animi americani per affrancarsi dalla Corona inglese.
Dalla storia, passando alla letteratura, ricordiamo che pure Tennessee Williams (drammaturgo, scrittore, sceneggiatore e poeta statunitense) era un appassionato di rum, e Charles Bukowski (poeta e scrittore statunitense) a proposito scriveva: «Va così, rum e pera, perché ci sono dei momenti forti che ti lasciano l’amaro in bocca, e altri talmente belli da farti dimenticare quel retrogusto sgradevole che ha la vita». Inoltre, John Cheever (scrittore statunitense) racconta in una lettera tutta la disperazione della sua battaglia con il demone del rum.
E, per chiudere, da un libro di rimedi conventuali, leggiamo che: «Per capelli spenti e senza volume, mescolate del latte di cocco con un bicchierino di rhum, imbevetene una tela leggera e tenetela in testa per mezz’ora prima di lavare con uno shampoo delicato, oppure fate l’ultimo risciacquo con dell’acqua frizzante».