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Una storia antica quanto il mondo

Pillole per conoscere i segreti del daino

DALLA SARDEGNA ALL’EUROPA

Attualmente il daino è diffuso nelle zone centrali dell’Italia, in particolare in Umbria, Marche, Emilia Romagna e Toscana, così come in Sicilia e in Sardegna. È proprio da quest’ultima regione che prese piede in tutta la Penisola. Il daino era inizialmente diffuso in tutto il continente europeo fino a prima dell’ultima glaciazione – la glaciazione Würm, terminata poco meno di 10.000 anni fa – ma a seguito di questo fenomeno la specie subì una riduzione tale che riuscì a sopravvivere solo nella Penisola anatolica. Furono i Fenici a riportarla nel bacino del Mediterraneo intorno all’anno 1000 a.C., importandone alcuni capi in Sardegna a scopo sacrificale. I Romani ne agevolarono la diffusione nella Penisola; nel Medioevo, poi, il daino fu allevato in tutta Europa a scopo venatorio e ornamentale: dal manto pomellato, isabellino (un grigio uniforme che può diventare anche fulvo chiaro in alcune stagioni), melanico (bruno molto scuro), o ancora candido come negli esemplari albini, era apprezzato in tutte le corti.
Purtroppo la popolazione originaria sarda – che si dice fosse più piccola, come quella di Rodi, affetta da nanismo insulare – si estinse negli anni Ottanta a causa di una caccia non regolamentata; gli esemplari oggi presenti provengono da popolazioni toscane e calabresi.

 


COME VALORIZZARNE LE CARNI

Il daino appartiene a quella categoria di selvaggina che viene definita da pelo e di taglia grande, al pari di cervi, caprioli e stambecchi. La carne – detta nera a causa dell’alto contenuto di ferro e della quasi totale assenza di grasso – è piuttosto consistente e richiede non solo un periodo di frollatura che va dai 3 agli 8 giorni (a seconda dell’età dell’animale), ma anche una marinatura che la renda più tenera e dal gusto meno intenso. Quest’ultimo processo si può fare a crudo – irrorandola con un’emulsione di vino, aceto e olio con carote, cipolle, spezie e erbe aromatiche – o in cottura, con vino rosso, aceto, olio, carote, cipolle, sedano, bacche di ginepro, alloro, timo e pepe in grani.
Ma come esaltarne al meglio il sapore? Dipende dai tagli: il filetto e la lombata sono ottimi in bistecche – specie le parti più tenere – in spezzatino o in tagliata; gli stinchi, la coscia, la pancia, il petto, le costolette e il collo, invece, per arrosti, brasati, stufati o hamburger; la polpa si può fare anche al forno, basta bagnarla di tanto in tanto con la marinatura.

Giornalista per per Corebook - L'arte di comunicare, Dottoressa in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo