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Gin, cocktail di sapori italiani

Esperienze gustative nuove, intelligenti e alternative

Sono già oltre 300 le etichette made in Italy che si propongono con le loro esclusive produzioni. Questo è un dato che può stupire noi italiani, da sempre abituati a considerare il gin come un tipico prodotto dell’area anglosassone. Il motivo sono gli innumerevoli film che ritraggono ufficiali coloniali vittoriani (soprattutto di stanza in India) che sorseggiano Gin Tonic, col quale si diluiva il chinino necessario per fronteggiare la malaria. Nello specifico, il Quinine Gin è fatto con corteccia di cinchona, dalla quale si ricava tradizionalmente il chinino, utilizzato come anti-malarico da secoli. Oppure, con un velo di nostalgia, chi non ricorda cosa si bisbigliava negli anni ’80-‘90 del secolo scorso riguardo a una certa predilezione dell’allora Regina Madre Elizabeth Bowes-Lyon per questo delizioso distillato?!
Ma – appunto – la realtà, per quanto inconsueta possa sembrare, è un’altra: il gin appartiene alle nostre tradizioni sin dal basso Medioevo, e ne è testimone la Scuola Medica Salernitana. Tutto ciò è spiegato dal fatto che lungo la dorsale degli Appennini (fino alle pendici dell’Etna), cresceva – e cresce tutt’ora – spontaneamente così tanto ginepro da diventare la materia prima di infusi, declinati poi in speciali elisir! Addirittura si assumevano (in modiche quantità diluite) come ricostituente al risveglio mattutino.
Venivano anche allora adottate due tecniche peculiari: infusione o macerazione, in aggiunta esclusivamente ad alcol puro, secondo il metodo di chi etichetta London Dry. Invece chi arricchiva con altre essenze e/o aromi (come ad esempio anche soltanto con la parte esterna della scorsa del limone, evitando l’albedo) otteneva uno dei Gin composti o Compound Gin, come si definiscono oggi. Da non confondere con i Bathtub Gin o distillati da vasca da bagno, quelli cioè che si producevano di nascosto nell’America del Proibizionismo. Chi (soprattutto nell’Europa del Centro-nord) conosce poco della Scuola Salernitana considera il gin nato in Olanda e conosciuto poi nel XVII secolo, durante la Guerra dei Trent’anni.
Ma oggigiorno qual è la classifica delle dieci Nazioni maggiori consumatrici pro-capite di gin? In una statistica risalente al periodo pre-pandemia, incredibilmente troviamo al primo posto la Spagna, (1.07 litri a testa in un anno); al secondo posto il Belgio (0.73), al terzo l’Olanda (0.63), poi soltanto al quarto posto il Regno Unito di Sua Maestà Britannica (0.55), quindi – sorprendentemente distanziata e al quinto posto – l’Irlanda (0.36), al sesto il Canada (con 0.22 litri pro-capite), al settimo gli Stati Uniti (0.21), in ottava posizione la Francia (0.19), quindi noi italiani al nono posto (0.14) e a chiudere – in decima posizione – la Germania (0.08).
E i Paesi dell’Est Europa, grandi consumatori di alcolici che uso fanno del gin? La Vodka domina incontrastata e piano piano sta tirando a sé il consenso dei consumatori di tutti i continenti, offrendo l’opportunità di spaziare – grazie ai suoi toni delicati – in esperienze gustative nuove, intelligenti e, senza dubbio, alternative. Una riprova iconica? James Bond nella maggior parte dei film non ordina il Martini classico ma la sua variante meglio nota come Vesper Martini, cioè con l’aggiunta al gin di vodka. Ian Fleming ci fornisce la ricetta esatta: «tre parti di Gordon Gin, una di Vodka, mezza di Kina Lillet (n.d.r.: quest’ultima è una miscela con l’85% di vini della regione di Bordeaux e il 15% di liquori macerati, principalmente agli agrumi). Agitato con ghiaccio, e in aggiunta una sottile scorza di limone».
Che poi questo comporti la fine dell’epoca d’oro del gin è ancora tutto da dimostrare.