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Giovanni Verga, primo centenario della morte

Lo scrittore morì a Catania nel 1922

Lo scenario italiano dove il pistacchio ha un ruolo da protagonista è la Sicilia e in particolare Bronte, nota anche per tristi avvenimenti del Risorgimento. È infatti anche un luogo del racconto letterario di Giovanni Verga. Nel 1882 uscì sulla «Domenica Letteraria» la novella dal titolo Libertà, ispirata a fatti realmente avvenuti a Bronte. Il periodo storico in cui è ambientata è quello risorgimentale e, in particolare, si riferisce alla spedizione dei Mille in Sicilia, al comando di Garibaldi e Nino Bixio. Ai contadini venne promessa la concessione di terre demaniali. I braccianti, mossi dalla volontà di appropriarsi della terra, scatenano una rivolta repressa dal generale Nino Bixio e passata alla storia come i fatti o il massacro del Bronte. Una pagina non certo edificante del percorso verso l’unità nazionale in cui Verga stesso credeva fermamente tanto che, allo sbarco dei garibaldini si arruola nella Guardia Nazionale. Il suo patriottismo emerge attraverso i suoi primi romanzi, che si inseriscono nella corrente artistica, molto diffusa all’epoca, della letteratura patriottica. Amore e patria (1856) è il titolo, non a caso, del suo romanzo giovanile, che scrisse a soli quindici anni.
Giovanni Carmelo Verga di Fontanabianca nacque a Catania il 2 settembre 1840 da una famiglia nobile ma antiborbonica e ivi morì il 27 gennaio 1922. La famiglia Verga Catalano apparteneva ai cosiddetti galantuomini, ovvero nobili non dotati di un grosso patrimonio finanziario ma con un decoro da mantenere. In questo quadro familiare hanno un ruolo anche le ricche zie zitelle, dal poeta definite «avarissime mummie». La sua situazione ha senza dubbio ispirato la trama dei suoi racconti. Scrittore, senatore e fotografo dilettante, vive a Firenze, allora capitale d’Italia, dove viene introdotto negli ambienti letterari dell’epoca, e poi a Milano, dove rimane per venti anni frequentando circoli letterari e dove ha l’opportunità di incontrare Arrigo Boito e Giuseppe Giacosa. Proprio in queste città il suo stile letterario trova molti spunti e stimoli legati alla corrente artistica che nasce dal binomio Romanticismo e Risorgimento. A Milano stava nascendo un movimento letterario chiamato Scapigliatura, ove i suoi appartenenti, connotati da un profondo anticonformismo, non si riconoscono più nei valori della cultura positivista e in quelli del Romanticismo, ma si sentono i paladini dei nuovi movimenti sociali nati con la rivoluzione industriale. In questo periodo Verga comincia un processo interiore e letterario verso la rappresentazione di una società vera, verso una nuova concezione dello scrivere della miseria, della ricchezza, della lotta quotidiana. Nasce il Verismo, sulla scia del Naturalismo francese.
Dall’ambientare i romanzi nell’alta-borghesia e narrare amori travolgenti e drammatici, comincia a raccontare la vita della gente povera, il mondo contadino la cui sopravvivenza è legata anche a piccole logiche di interesse economico. In questa fase artistica scrive I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo che, in tempi recenti, hanno permesso l’inserimento de la casa del Nespola (I Malavoglia) e la Chiesa di Sant’Agata (Mastro Don Gesualdo) nella Carta regionale dei Luoghi dell’Identità e della Memoria istituita dalla Regione Sicilia. Sceneggia una sua novella, Cavalleria Rusticana, e nel 1884 il dramma viene rappresentato al Teatro Carignano di Torino e vede protagonista Eleonora Duse.
Ma non ha il successo sperato fino a quando Pietro Mascagni, partecipando a un concorso, la musica e Verga lo accusa di plagio. Verga vince la causa ottenendo un lauto risarcimento che risolve i suoi annosi problemi economici. Nella sua vita privata non si sposerà mai, ma avrà lunghe relazioni, come quello con la contessa Dina Castellazzi di Sordevolo. Colpito da paralisi cerebrale, torna a Catania e lì muore il 24 gennaio 1922.

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