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Fotografare è un po’ come scrivere

Si fa sempre per un lettore o per un pubblico che osserva la nostra produzione. Le due strade spesso si affiancano.

Fotografare è un po’ come scrivere: lo si fa sempre per un lettore o, nello specifico, per un pubblico che osserva la nostra produzione. Le due strade spesso si affiancano.
Come i romanzieri si dovrebbero chiedere per quale motivo i lettori dovrebbero acquistare i loro libri, anche noi dovremmo chiederci perché qualcuno dovrebbe ricercare i nostri scatti. Ce lo domandiamo troppo poco e il risultato è una produzione inutile di scatti che non interessano a nessuno. Talvolta nemmeno a noi stessi.
La storia, sia scritta sia fotografata, deve incuriosire, stupire, appassionare, dire qualcosa che nessuno ha mai detto prima in un modo che ci renda riconoscibili e unici; deve invogliare ad arrivare in fondo. Altrimenti meglio non dirla affatto. Il lettore deve essere invitato a partecipare. La storia poi si fa articolata, ricca di dettagli e ramificazioni, di episodi che la rafforzano e di colpi di scena in un continuo cambio di tensione fino al gran finale. Inizio, sviluppo e chiusura.
Sia che si realizzi una singola immagine, un ritratto ad esempio, o che si tratti di un intero progetto di documentazione, l’obiettivo è sempre la storia che regalate a chi vi osserva.

 

 

Si sente spesso dire: «Ah, no, faccio foto solo per me stesso». Io non ci credo quasi mai. Ogni autore, fotoamatore, turista, appassionato, scatta per condividere con uno o più soggetti. Accade più facilmente oggi, visto che, grazie alla rete e ai social network, basta un click per divulgare un nostro contenuto a un numero sempre crescente di persone. Ma accadeva anche trenta o quarant’anni fa, quando si tornava da una vacanza con un sacco di diapositive o rullini da sviluppare e poi si organizzavano delle serate per mostrarle ai compagni di avventure, non sempre contenti di farsi ammorbare dal nostro proiettore.
C’è infatti da chiedersi quante delle immagini che realizziamo interessino, oggi come allora. Produciamo immagini in quantità industriali, che consumano enormi volumi di energia e spazio sui server, e per fortuna sono in formato liquido e non di carta, altrimenti servirebbe un altro pianeta per smaltirle tutte. Oggi sembra che l’azione creativa-filosofica che dovrebbe ruotare intorno alla fotografia abbia perso di valore. Si tende a fotografare per comunicare: dove siamo, come stiamo, con chi siamo, se ci stiamo divertendo oppure no. Anche a me capita di farlo, tranne poi fermarmi a pensarci su e dire che ne produciamo troppe, senza sosta, in villeggiatura, durante una gita o a un concerto o davanti allo specchio del bagno. Chiudo con un esempio: a chi interessa il vostro selfie del mattino? Forse nemmeno a voi stessi. E sapete qual è la ragione? È che molte delle immagini realizzate oggi non raccontano nessuna storia.

 

 

 

 

Foto di Federico Minelli

Esperto in Immagine e Comunicazione