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Il dono del tonno

Un prodotto del Mare Nostrum

Considerata come una risorsa ambita per via delle sue carni proteiche, saporite e ben conservabili, il tonno fu, sin da tempi molto antichi, una delle prede più cacciate del Mediterraneo. Esso si riproduce con facilità nel Mare Nostrum.
Risalire all’avvio della pesca al tonno non è cosa semplice: il passato è ricco di testimonianze artistiche, numismatiche, letterarie e iconografiche che, in tutto il Mediterraneo, abbracciano un intervallo di oltre 5000 anni e ci riportano indietro sino al Neolitico. Già tra il XX e il XV secolo a.C. pare che i Fenici fossero in grado di praticare tecnologie di pesca complesse, combinando reti di sbarramento e con quelle di circuizione. Questi nostri antenati riuscirono così a sviluppare un indotto straordinario che comprendeva le tecniche di conservazione sotto sale, la costruzione dei barili di legno per il salato e la commercializzazione del prodotto; la risorsa tonno era puntuale e abbondante. Per tale motivo il tonno venne glorificato, come dimostrano le effigi del grande pesce nella pittura vascolare, come ne Il taglio del tonno, anfora greca a figure nere del VI secolo a.C. rinvenuta a Vulci (ora conservata all’Altes Museum di Berlino). Il prodotto era molto accessibile sul mercato, tant’è che anche un povero mendicante poteva comprarsi il suo trancio di tonno, come illustrato in un famoso vaso a figure rosse (cratere) del IV sec. a.C. che si può ammirare al Museo Mandralisca di Cefalù. In detto cratere del Venditore di tonno si può osservare una scena raffigurata in maniera assolutamente realistica: un pescivendolo affetta un tonno su un ceppo e l’acquirente tiene pronta la sua monetina.
Sempre nel IV secolo a.C., Archestrato di Gela, primo poeta gourmet della storia letteraria, documentò nel suo Poema del buongustaio in esametri le regole di conservazione del tempo: «Di tonno in Sicilia un pezzo mangia / Di quel che a fette conservar salato / Nell’anfora si suole». Non solo! Nello stesso frammento nr. 50 prosegue parlando sempre del tonno: «Nella santa città della famosa Bisanzio, allora del salume oréo / Un pezzetto per me mangia di nuovo / Che veramente è saporito e molle». Il salume oreo era formato da quella parte del tonno che sta vicino alla coda.
Non è quindi un caso che Archestrato dimostri come la storia e la cultura del Mediterraneo registrano nel tonno un protagonista al pari del vino, della porpora, delle spezie e del grano. Pure Aristotele ci parla del tonno e della sua ciclica provenienza da oltre le colonne d’Ercole.
Anche in tempi (relativamente) più recenti, fino a tutto il Seicento, il tonno veniva cucinato o conservato sotto sale. Solo agli inizi del XVIII secolo tra le merci movimentate nel porto di Genova appare il tonno sott’olio, prodotto assai diverso dal tonno sotto sale, detto in gergo tonina. Da allora i barili di tonno in olio di oliva divengono merce frequente nei traffici marittimi genovesi.
Agli inizi dell’Ottocento però le tonnare subiscono un tracollo. Le imprese non sono più remunerative e vengono abbandonate: i barili non potevano essere acquistati dalle famiglie (deperivano presto e il trasporto era troppo impegnativo). Solo con le campagne napoleoniche di Russia si sviluppa la tecnica della conservazione dei cibi in scatola. Grazie al francese Nicolas Appert e l’inglese Bryan Donkin si ebbe, all’inizio dell’Ottocento, un metodo per la sterilizzazione delle scatolette metalliche da destinare alla conservazione dei cibi. Un modo rivoluzionario per conservare gli alimenti sino ad allora difficilmente preservabili se non sotto sale o essiccati.
Nell’ultimo quarto dell’Ottocento fu la famiglia Florio a escogitare un modo più efficace per conservare il tonno sott’olio. Da allora la lavorazione si è perfezionata correndo, però, sullo stesso solco.