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Il gin, protagonista di cocktail letterari e non solo

Re di cocktail molto apprezzati dagli scrittori e dai loro personaggi

Che il gin non sia un drink ma un ingrediente è ben esplicitato in quel capitolo della sua storia che lo vede come un efficace coprente dell’insopportabile gusto amaro del chinino, il medicinale in voga durante il periodo coloniale per contrastare la malaria che imperversava nell’arcipelago malese, meglio conosciuto a quel tempo come le Indie Orientali.
Il gin dunque non si beve puro e d’altronde lo dimostrano i personaggi del romanzo distopico 1984 di George Orwell che, irreggimentati nel governo del Grande Fratello, venivano resi più ubbidienti con la bevanda-simbolo delle vittorie coloniali di Oceania, il Victory Gin: «è come acido e, per di più, quando lo si manda giù si ha la sensazione di venire colpiti dietro la testa con una mazza».
Lasciando da parte le trasposizioni allegoriche, anche una volta che venne dismesso il chinino, l’accezione (e le blande proprietà) di tonico sono rimaste nel famoso Gin Tonic, davanti al quale sembra sia nata la famosa saga di Harry Potter. J.K. Rowling, infatti, sembra fosse solita scrivere nei pub, davanti a un bel cocktail che ne stimolasse la fantasia. Prima dei lei, il suo connazionale Philip Larkin ci aveva regalato la ricetta del perfetto Gin & Tonic nel poema Sympathy in the White Major, come drink perfetto per ricordare un amico scomparso: «Quando faccio cadere con un tintinnio / quattro cubetti di ghiaccio in un bicchiere, / e aggiungo tre parti di gin, una fetta di limone, / e ci vuoto un quarto di tonica / in spumeggianti fiotti finché ricopre / ogni cosa sino all’orlo, / levo il tutto in un privato brindisi: / Egli dedicò tutta la sua vita agli altri.»
Anche il poeta e drammaturgo statunitense Tennessee Williams viene ricordato con un drink: nei bar di New Orleans, infatti, in suo onore viene servito il Ramos Gin Fizz a base di uovo, crema, succo di lime e di limone, fiori d’arancio e acqua tonica.
Più delicati erano senza dubbio i gusti di Charles Dickens, appassionato di un mix di gin Old Tom e Champagne che diversi anni più tardi – ovvero nel 1927 – sarebbe stato codificato nel Fench75. Arricchito da limone fresco, ghiaccio e zucchero, questo drink è figlio del suo tempo, in quanto deve il nome a un cannone da campo ampiamente utilizzato durante la Prima Guerra Mondiale.
In quegli anni appare anche Il Grande Gatsby, autobiografia spirituale di Francis Scott Fitzgerald che racconta gli anni sfrenati e struggenti del jazz e la tragedia del mito americano, di cui l’alcol era il propulsore più rinomato. Appassionato di Gin Rickley – con zucchero e succo di limone – Fitzgerald racconta di come proprio il gin fosse anche alla base delle sue sperimentazioni più ardite – come lo stimolante con vermouth e assenzio di cui parla in Tenera è la Notte – poiché era l’unico spirito a non guastare l’alito di chi lo sorbiva.
Amava sperimentare anche Raymond Chandler, creatore del detective Philip Marlowe, poiché ne Il Lungo Addio ci restituisce gli ingredienti ideali per la creazione del Gimlet, un cocktail per metà gin e per l’altra succo di lime e zucchero.
E come non citare il Martini Vesper dell’agente 007 James Bond? In Casino Royale, la penna immaginifica di Ian Fleming ci restituisce la storia di un cocktail dedicato a una donna, rigorosamente agitato e mai mescolato (con buona pace dei barman!).

Giornalista per per Corebook - L'arte di comunicare, Dottoressa in Lettere Moderne e in Informazione, Editoria e Giornalismo