Quest’articolo ha come protagonista Karol Jòzef Wojtyla, nato a Wadowice (Polonia) il 18 maggio 1920. La scelta è legata al tema dei centenari che ha connotato i miei articoli nel corso del 2020 ma, nel contempo, è legata all’ammirazione e all’affetto che la sua persona e il suo operato mi hanno sempre ispirato. Cresciuto in una tradizionale famiglia cattolica veniva chiamato Lolek, Carletto. Terzo di tre figli, perse la madre quando aveva solo 9 anni e il fratello medico Edmund, che morì giovane nel 1932. Questi lutti, infondendogli una sofferenza indicibile, ne hanno segnato profondamente l’animo. Si iscrisse al corso di laurea in filologia polacca presso l’Università Jagellonica, ma con l’occupazione nazista fu costretto a lavorare prima in una cava e poi in una fabbrica di prodotti chimici. La sua vocazione, nel frattempo, affiorava. Il padre, severo e profondamente credente, fu un esempio fondamentale. Spesso, racconterà Giovanni Paolo II, gli capitava di trovarlo, di notte, in ginocchio a pregare. Venne ordinato sacerdote il 1° novembre 1946 e inviato a Roma per il dottorato in teologia, che prese nel 1948, anno in cui tornò in Polonia. Il 13 gennaio 1964 fu nominato prima Arcivescovo di Cracovia e poi Cardinale da Papa Paolo VI.
Fu eletto Papa il 16 ottobre 1978. Molti gli aneddoti legati al suo lungo papato, che ne rilevano la carismatica personalità, la sagacia, l’ironia e la sua capacità di entrare nel cuore delle persone.
Il giorno della sua elezione era andato in pellegrinaggio al Santuario laziale della Mentorella, dove oggi si può percorrere il sentiero che porta il suo nome. Al momento di ripartire, la sua macchina, purtroppo, non ne voleva sapere di accendersi, ma era atteso al Conclave. Fu un autista ad accompagnarlo a prendere la corriera diretta per Roma, visto che quello strano prelato gli aveva spiegato che doveva arrivare in Vaticano prima delle 13,30. Da quel conclave uscì come Giovanni Paolo II.
Un altro episodio me lo ha raccontato l’addetto al Cerimoniale del Vaticano. Il Papa, in visita a Monte Sant’Angelo, al momento della benedizione si accorse di non avere l’aspersorio. Allora, con uno sguardo, indicò ai suoi collaboratori un olivo. Grazie a un rametto di quella pianta, poté procedere con la benedizione, senza che i presenti si fossero accorti di nulla. Per non parlare delle presunte o reali fughe dal Vaticano per andare a sciare. Questa sua passione gli è valsa l’appellativo di atleta di Dio. Primo papa non italiano dopo 455 anni, cioè dai tempi di Adriano VI (1522-1523), è stato il primo pontefice polacco della storia. Il suo pontificato è durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni ed è stato il terzo più lungo dopo quello di Pio IX. Leggendo la biografia scritta da Andrea Riccardi, ci si rende conto che Wojtyla ha attraversato le vicende politiche più importanti del Novecento: le due guerre mondiali, la seconda repubblica polacca e la nascita del governo comunista del blocco sovietico. Il suo pontificato ha visto il crollo del Muro di Berlino e l’attentato alle Torri Gemelle. Nel 2011 è stato proclamato beato da Benedetto XVI e, il 27 aprile 2014, santo da Papa Francesco.
Ha compiuto ben 104 viaggi nel mondo che lo hanno visto acclamato da milioni di fedeli. Ha ideato la Giornata Mondiale della Gioventù che vede, dal 1985, giovani provenienti da tutto il mondo riuniti, in nome della spiritualità, in una città del mondo scelta dal Papa. Wojtyla è morto a Roma il 2 aprile 2005. Ho ancora oggi, impresso nella mente, il giorno del suo funerale, con le pagine del Vangelo, posto sopra la sua bara, sfogliate dal vento. Migliaia di persone sono andate a rendergli omaggio, per salutarlo un’ultima volta. Il Papa ha sempre ripetuto una frase, indelebile nel ricordo della cosiddetta generazione Wojtyla: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!»