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La mente del cameriere, un “luogo” da scoprire

Tecniche e comportamenti per un buon servizio

Tutti i manuali di sala sanciscono che una delle regole principali per un buon servizio è quella di non dare mai l’impressione di andare di corsa, ma di trasmettere piuttosto calma, sicurezza e tranquillità. Ma se il corpo si muove in modo armonico ed elegante, con gesti automatici e a volte benevolmente cerimoniosi, la pressione psicologica e la pianificazione delle prossime mosse si articolano nella mente di donne e uomini di sala in un caotico groviglio di domande, tensioni, congetture, programmi.
Non a caso, studi e classifiche di diverse fonti ritengono quello del cameriere un lavoro usurante a qualsiasi livello, vuoi per alterazione dei ritmi circadiani, per chi lavora nei bar e nei pub, vuoi per pressione e stress per chi lavora nei grandi ristoranti.
Qualcuno si è mai chiesto cosa succede nella loro mente? Succede che, da quando aprono la porta a un ospite e sorridono con un caldo benvenuto, una vocina nel loro cervello inizia a porsi delle domande: Lo conosco/riconosco? È in anticipo o in ritardo? La sua macchina è a posto? Ha prenotato? Ha freddo? Ha caldo? Come è vestito? Ha un cappotto, un impermeabile o una pelliccia? È qui per un pranzo o una cena elegante? Festeggia qualcosa? È qui per lavoro? Ha fatto molti chilometri? Viene da lontano? È un gourmet? Ha sbagliato ristorante? È timido? È sicuro di sé? Cerca privacy o vuole stare in compagnia? È indeciso? È un capogruppo? È un cliente esigente? Ha voglia di divertirsi? Sarà un rompiscatole?
Il tempo di varcare la soglia del ristorante e il cameriere avrà già risposto a molti di questi quesiti e il successo del suo lavoro dipenderà, per buona parte, dalla sua capacità di aver risposto correttamente.
Avrà sicuramente un appiglio con cui poter rompere il ghiaccio senza risultare inopportuno o banale, saprà mettere a proprio agio l’ospite in modo naturale e probabilmente farà una buona prima impressione, che spesso, ahimè, è quella che conta.
Ma ovviamente non finisce qui: come in una partita di scacchi, l’apertura ha un ruolo importante, ma ogni gioco ha il suo personale sviluppo.
E infatti, dopo l’accoglienza si passa a gestire il servizio nel suo momento più fervido. Sono quelle due o tre ore in cui la fatica psicologica è spinta al limite, in cui mentre si porge un piatto con delicatezza, classe e armonia nei movimenti, l’attenzione salta in modo – ci si augura- impercettibile per l’ospite da una briciola fuori posto a un calice non completamente pieno, mentre la testa fa un viaggio virtuale posandosi ora su un tavolo, ora sull’altro, come un’ape in un campo fiorito. È così che si avrà la situazione sotto controllo, una continua istantanea dello stato dell’arte di ogni tavolo. È così che si può garantire che la macchina-ristorante proceda senza intoppi. Per richiamare di nuovo il paragone degli scacchi, è come se si giocasse una simultanea a ogni servizio: lo sforzo mentale è grande, la soddisfazione pure.

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Responsabile di Sala e Sommelier de "La Trota 1963"