«Cameriere, Champagne!»: la nota canzone di Peppino di Capri sembra non essere più alla moda. Anzi, appare distante per concetto. Cenare davanti a una coppa del celebre vino francese o a un Brunello di Montalcino è sempre una buona idea, ma la contemporaneità ristorativa sta promuovendo nuovi abbinamenti gastronomici, accompagnando portate di ogni tipo – dall’entrée al dessert – con cocktail o drink di varia natura. L’ascesa è dovuta alla fusione tra cucina e mixology che sta delineando nuovi orizzonti sensoriali.
Il gin è la star del momento in Italia e le produzioni non sembrano diminuire, tanto da registrare un’incessante originalità di etichette made in Italy, con le più svariate botaniche, spesso legate ai territori di produzione. Il consumatore è sempre in cerca di innovative avventure gastronomiche e da qualche anno la tendenza nell’utilizzo di spiriti e cocktail come abbinamento, soprattutto base di gin, sta prendendo piede in maniera vigorosa. Il risvolto positivo è facile da trovare nell’arte pura della mixology, ovvero nella sperimentazione di una nuova ricetta, proprio come uno chef tra i fornelli, che permette di dare vita a un prodotto finito costruito con un’idea chiara di partenza, adeguata per un piatto. Avvalersi di spezie, erbe e frutti, muovendosi dal dolce all’amaro, dal salato all’acido, potrebbe consentire di centrare un abbinamento molto più di un vino.
La connessione dà origine a infinite soluzioni e a inedite percezioni organolettiche. Il drink pairing rende più armonico e immersivo un percorso degustazione ed è molto apprezzato anche dai non bevitori, giocando con un abbinamento analcolico ed evitando loro la costrizione di pasteggiare con acqua o bevande gassate. Un tè, il kombucha o un centrifugato al naturale di erbe e frutta, possono essere delle idee alcool free, emozionanti e divertenti.
Ma quali sono i rischi del drink pairing? C’è sempre un rovescio della medaglia nelle ventate di novità e non tutti i consumatori hanno un approccio positivo verso un abbinamento cibo-cocktail; siamo in un Paese che possiede un immenso valore enologico e appare difficile sdoganare alcune abitudini. Inoltre c’è il timore che possano essere delle bevute troppo alcoliche e in effetti spesso questo aspetto rappresenta una forte criticità. La struttura di un drink, quindi la sua alcolicità, andrebbe gestita per mezzo di una corretta quantità di ghiaccio per diluire la bevanda; inoltre, una non perfetta proporzione tra distillato, bitter, elementi gassosi e succhi potrebbe renderlo coprente.
L’andamento corrente vira su bevute low alcohol, un ottimo punto a favore per ridurre tale rischio. Ad ogni modo, l’abbinamento resta sempre gradito se consigliato e facoltativo, evitando un’obbligazione fastidiosa e poco sensata.
Se dietro un drink pairing c’è un’idea e una buona mano aggiunge piacevolezza riuscendo a rompere le righe di una classica cena, si tratta di una valida alternativa al più classico abbinamento con i vini.