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Spicchi di cacio

Spicchi perché da “forma” rotonda è lo spicchio che dona la parte migliore di sé: giusta porzione in piccola quantità, giusto spessore di crosta, di unghiatura, di pasta di colore bianco avorio con piccole occhiature,

Spicchi perché da “forma” rotonda è lo spicchio che dona la parte migliore di sé: giusta porzione in piccola quantità, giusto spessore di crosta, di unghiatura, di pasta di colore bianco avorio con piccole occhiature, giusta altezza. Una sinfonia in quell’assaggio. Perché il pecorino, dai casari, viene offerto sempre in assaggio.

E in mano la morbidezza, l’umidità, l’elasticità. Al naso il profumo e l’aroma in bocca, speziato, animale, floreale, in genere erbaceo, persistente ed entusiasmante, che sa di natura. E il sapore se dolce o salato, se acidulo e astringente oltre che piccante. Una carta d’identità preziosa e antica.

Note di latte, panna, burro, o invece di fossa, di terra, di fungo, di sottobosco, di cantina che diventano intensi aromi, e la sua friabilità e solubilità in bocca con note di invecchiamento. Perché il formaggio stagiona dall’esterno verso l’interno: quindi ogni sua parte ha una diversa intensità, dal sotto crosta al cuore.

Pecorino nell’aceto racconta la storia più antica per la sua conservazione: accarezzate d’olio e avvolte in un panno bagnato con aceto quelle forme benedette di sussistenza, una tecnica sussurrata di padre in figlio almeno fino ai primi del Novecento. Oppure nascoste in fosse scavate per difenderle dalle razzie dei predoni che regalavano sentori nuovi, mai conosciuti.

E la caciara, che significa trambusto e gazzarra, dove si fabbricava il cacio, luogo disordinato, pieno di utensili, e anche dove i pastori dell’Appennino si riparavano dalle intemperie e riposavano. Magari con i loro pecorini.

Il mondo del pecorino è un mondo fatto anche di razze animali che producono il latte, di tecniche di caseificazione, di ambiente e aree protette con vegetazione la più varia. Boschi, prati e montagne, borghi selvaggi, i formaggi si mescolano ai luoghi e ai prodotti più veri di quel territorio e talvolta, come in Umbria, corrono veloci lungo le “vie del ruzzolone” il gioco del lancio che si disputa con forme di pecorino extra stagionato.

Affinato, a conciare in botte, in fossa dove appare più “bucciato”, avvolto in foglie di noce, di vite, in erbe di montagna o persino nella paglia e nel fieno per un formaggio di grande piacevolezza e in bocca pulito e con ampia persistenza, da abbinare a una fetta di pane “sciocco” e a un buon rosso ben strutturato.

Oppure farcito di pepe, peperoncino che ne accentuano la piccantezza naturale, di zafferano, tartufo, olive, o anche profumato con pistacchio e persino con pere per onorare “in diretta” il famoso proverbio. Ma anche pecorini a caglio vegetale come il “marzolino” che segna la nuova stagione dei prati e pascoli, per “alleggerirne” la sostanza.

E roviniamoci in parte la festa: grassi e colesterolo. Il latte ovino contiene circa il doppio di lipidi rispetto al latte vaccino e caprino. Poche tracce di lattosio nel prodotto a pasta semidura, mentre il prodotto fresco ne contiene in percentuale maggiore.

Quanto mangiarne? La porzione consigliata per l’adulto è di 50 g e con alto valore nutrizionale in vitamina A, B, calcio e fosforo, sodio, potassio. Inoltre, contiene circa il 20% di proteine. E i suoi batteri probiotici contribuiscono a migliorare la salute dell’apparato digerente.

Un comparto, comunque, che ha elevate potenzialità di crescita, poiché interseca tutti i principali valori richiesti dai consumatori moderni: tradizione, qualità, gusto e sostenibilità.

Tradizione per un prodotto con una storia antichissima e in territori, soprattutto l’Italia centrale, con riferimento alla cultura tra i più ricchi di arte, architettura, archeologia a livello nazionale e che hanno un forte richiamo e una dimensione internazionale dei flussi turistici.

Lazio, Toscana e Sardegna detengono il primato della produzione dei pecorini, in un mercato interno che oscilla nella richiesta e in quello estero spesso minato dalla tutela del marchio e dalle imitazioni.

La salvaguardia del paesaggio, infine, rappresenta l’elemento chiave per la conservazione e valorizzazione delle risorse degli areali di produzione, come testimoniato dal riconoscimento UNESCO della pratica della transumanza come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità che rappresenta anche una importante opportunità di valorizzazione del ruolo socio-culturale del pastore.

Antropologa, Scrittrice, Giornalista, Critico Enogastronomico, Blogger