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Menu degustazione obbligatorio o scelta à la carte?

Un dibattito aperto. Qual è la scelta migliore?

È un dibattito acceso da un po’, ma il tempo sembra dare ragione al menu obbligatorio. È un orientamento che prende sempre più piede e che sembra diventato normalità.
Quasi tutti i ristoranti di alto livello hanno ridotto le opzioni di scelta dell’ospite, spesso proponendo un unico menu degustazione per tutti i commensali.
Perché? Le ragioni sono innanzitutto di ordine organizzativo. Infatti, avere un unico menu uguale per tutti permette indubbi vantaggi: riduzione degli sprechi, migliore pianificazione del lavoro, ottimizzazione dei tempi, programmabilità dei compiti, linea di cucina meno articolata e, soprattutto, riduzione dei margini di errore.
Da un punto di vista puramente economico, inoltre, il conto che gli ospiti pagano per pranzare o cenare è abbastanza regolare, l’unica variabile è rappresentata dalle bevande e dagli extra. Di conseguenza, avendo più accurate previsioni dei ricavi, è più facile per il ristoratore programmare anche spese e investimenti in una logica di budget.
Non solo: considerando tutti gli omaggi come le coccole di benvenuto, come va – ahimè – di moda chiamarle adesso, il predessert, la piccola pasticceria, i grissini, i pani fatti in casa, è evidente che i costi fissi per commensale siano decisamente elevati e difficilmente potrebbero essere coperti adeguatamente con la vendita di uno o due piatti alla carta. Motivo per cui, dove questa è presente, i prezzi delle singole portate sono decisamente alti.
Vista l’indubbia convenienza in termini di efficienza, bisogna però valutare l’impatto di questa scelta anche sul piano ideologico: secondo i più romantici, sapere già dal mattino quali e quanti piatti andranno preparati per cena rende la cucina una sorta di centro di assemblaggio più che un palcoscenico su cui performare dal vivo. Se ne contesta la perdita del fascino della diretta, del rischio di sbagliare una comanda o una cottura, e soprattutto se ne contesta l’autoritarismo con cui il ristorante impone all’ospite cosa dovrà mangiare. Se ristorazione significa offrire un servizio in relazione a un desiderio allora è necessario lasciare che quel desiderio venga espresso e che ciascuno sia padrone di decidere per sé.
C’è poi un altro aspetto: alcuni grandi indirizzi della gastronomia italiana hanno il pregio di aver costruito negli anni una clientela fissa e affezionata.
Diventa dunque insostenibile imporre a un ospite abituale di mangiare ogni volta l’intero menu. Ecco allora che la scelta alla carta diventa anche una variabile commerciale non trascurabile. È pur vero che con il menu degustazione unico, il cuoco è libero di concentrarsi su meno variabili e convogliare il proprio spirito creativo in una rassegna di opere che creano il percorso ideale per raccontarsi al meglio.
E allora la domanda sorge spontanea: conta più la libertà di espressione del cuoco o la libertà del cliente di scegliere?

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Responsabile di Sala e Sommelier de "La Trota 1963"