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Linneo, il Cibo degli Dei e il Digiuno dei Cattolici

Secondo un uso ormai consolidato, la lingua italiana oggi riserva alla parola cioccolato il compito di indicare la forma solida di un prodotto a base di cacao (tavolette, cioccolatini), mentre con il femminile cioccolata si

Secondo un uso ormai consolidato, la lingua italiana oggi riserva alla parola cioccolato il compito di indicare la forma solida di un prodotto a base di cacao (tavolette, cioccolatini), mentre con il femminile cioccolata si indica normalmente la bevanda. E infatti mangiamo una tavoletta di cioccolato, un cioccolatino, ma sorbiamo una cioccolata calda. Il fatto è che la cosa e il suo nome sono entrati in Europa nel Cinquecento tramite gli spagnoli come chocolate. Gli indios mesoamericani chiamavano la pianta kakaw e la mistura che si ricavava dai frutti xocoatl. Sembra che gli spagnoli scelsero il secondo nome perché il suono kaka era sconveniente, come lo sarebbe stato anche nella nostra lingua…
Il chocolate veniva dunque usato nella sue terre di origine principalmente come ingrediente di una bevanda schiumosa, di grande prestigio. Amara, piccante e speziata e, in certi casi, arricchita con sostanze allucinogene, aveva un sapore assai diverso dalle nostre cioccolate in tazza che fecero furore nell’Europa moderna, dopo che qualcuno ebbe la geniale idea di addolcire quel sapore aggiungendo lo zucchero di canna. Bere una tazza di cioccolata divenne così di moda e un desiderio così ambito che rinunciarvi in tempo di quaresima aveva il sapore della penitenza, almeno finché la Santa Romana Chiesa, in pieno clima di Riforma, sentenziò che non rompeva il digiuno, avendo lo statuto di bevanda e non di cibo.
Lo zucchero di canna a sua volta era arrivato in Europa, dall’Oriente, grazie agli arabi, spagnoli e portoghesi, che ne avevano propagato la produzione nei loro domini anche nel Nuovo Mondo, dove cresceva il cacao e si preparava il chocolate originario. In questo viaggio nella produzione e nella tecnologia dello zucchero non deve sfuggire il ruolo che ebbe la Sicilia, dove gli arabi impiantarono le prime coltivazioni della canna e i primi zuccherifici in Occidente. Ma fu soprattutto sotto la dominazione spagnola tra Cinquecento e Seicento che la produzione dello zucchero siciliano ebbe un grande ruolo nell’economia dell’isola, dove sorsero numerosi impianti (trappeti). Tra i centri isolani produttori di zucchero, segnaliamo quelli nella contea di Modica, allora una sorta di regno nel regno dove gli spagnoli poterono precocemente diffondere la novità del chocolate. Qui, il connubio tra la pasta di cacao e il locale zucchero di canna, arricchito con altre spezie e aromi, assunse anche quella forma solida speciale che oggi lo rende inconfondibile nel mondo dei cioccolati europei.
In ogni caso sembra chiaro che il matrimonio tra cacao e zucchero, ovunque sia nata l’idea, è passato prima per la forma liquida, sottolineata anche dall’usuale appellativo di brodo indiano. La forma solida è arrivata dopo; dunque si è passati dalla cioccolata al cioccolato.
Ma quando Linneo, nel Settecento, battezzò scientificamente la nuova pianta tropicale non ebbe dubbi: ricorrendo alla solita lingua greca la chiamò Theobroma, cioè cibo degli dei (broma, cioè cibo, più il prefisso theo). Avrebbe dovuto piuttosto chiamarla Theopoton (o Theoposis), bevanda degli dei, secondo l’uso più attestato del cacao. Si può immaginare che la scelta di connotarla scientificamente come cibo piuttosto che come bevanda abbia ridestato, almeno nei cristiani in grado di intendere il greco, lancinanti sensi di colpa di fronte a una fumante tazza di cioccolata in tempo di astinenza. Ma come è noto, il digiuno era ormai cosa da cattolici, e Linneo, svedese protestante, forse con quel battesimo del cacao come cibo fece anche una scelta sottilmente provocatoria.

Docente del Corso di Laurea Ecocal dell'Università degli Studi di Perugia