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L’astice della verità

Le robuste tenaglie che contraddistinguono l’astice (come del resto il granchio) erano anche elemento simbolico di Oceanus, l’antica rappresentazione umanizzata del mare, contraddistinta proprio da chele disposte, a mo’ di corna, sulla testa. Il più

Astacus (dal greco àstakos) è il nome che i Romani davano all’astice, che in certe dotte descrizioni moderne viene definito anche gambero di mare per distinguerlo da quello di acqua dolce, suo parente stretto. Nessuna parentela stretta, invece, ha l’astice con l’aragosta, nonostante le ripetute confusioni dovute anche all’ambigua traduzione dalla parola inglese lobster, a sua volta dal latino locusta, all’origine della nostra aragosta. Il fatto è che, a dispetto del significato latino della parola, lobster designa il nostro crostaceo munito di robuste chele, come dimostra una veloce ricerca nel web; niente a che vedere dunque con la disarmata locusta/aragosta.
Il pasticcio linguistico ci rimanda al pasticcio di polpe succulente che il gastronomo della Roma imperiale Apicio raccomanda per confezionare polpettine di mare: oltre che con seppie e calamari, si possono fare di astice (astacus), gambero (cammarus) e aragosta (locusta). Come dire che gli antichi avevano le idee più chiare di molti moderni!
Le robuste tenaglie che contraddistinguono l’astice (come del resto il granchio) erano anche elemento simbolico di Oceanus, l’antica rappresentazione umanizzata del mare, contraddistinta proprio da chele disposte, a mo’ di corna, sulla testa. Intuibile il rimando alla forza, spesso anche distruttrice, di quella potenza divina dominante su tutte le acque, comprese quelle celesti che si riversano e scorrono sulla terra. Così, nell’immaginario antico, anche un banale tombino di raccolta delle acque poteva rientrare nella sfera simbolica di competenza di Oceanus e la bocca aperta del dio ne diventava artistica conformazione del foro d’ingresso.
Il più celebre esempio è la Bocca della verità di Roma: la grande maschera con la bocca aperta nella quale si introduce la mano per verificare se si sta mentendo o meno. Si sa da tempo che si tratta in realtà proprio dell’artistico coperchio, in marmo pregiato, di un gigantesco tombino per la raccolta di acque piovane, forse addirittura originariamente al centro del pavimento del Pantheon. Il noto mascherone ha cambiato nei secoli posizione e funzione e la scultura si è molto logorata. Tuttavia, a ben guardare, sono proprio le due corna a forma di chela di astacus a dichiarare che la bocca della verità altro non era che la bocca di Oceanus, destinata a inghiottire le acque cadute dal cielo e non certo le mani di presunti bugiardi.

Docente del Corso di Laurea Ecocal dell'Università degli Studi di Perugia